Per la Cassazione la condotta “petulante” del venditore integra il reato di molestia

Per la Cassazione la condotta “petulante” del venditore integra il reato di molestia
28 Settembre 2018: Per la Cassazione la condotta “petulante” del venditore integra il reato di molestia 28 Settembre 2018

IL CASO. Il Tribunale di Termini Imerese aveva dichiarato Tizio colpevole di molestie, in quanto, in concorso con Caio, “per petulanza o per altri biasimevoli motivi, aveva recato molestia a [Sempronia], cercando di convincerla, in maniera pressante e impertinente, ad acquistare dei profumi”.

Più precisamente, quest’ultima, “mentre era intenta ad effettuare un prelievo bancomat, era stata avvicinata dal [Caio] che aveva cominciato a parlarle del diritto al lavoro e quando la denunciante aveva accennato ad allontanarsi, aveva estratto dalla borsa un profumo tentando di convincerla ad acquistarlo. In quel frangente si era avvicinato anche [Tizio] che non solo aveva serbato lo stesso contegno del socio in affari, ma aveva rincorso la donna e l'aveva tallonata finché la stessa non aveva raggiunto l'autovettura con a bordo il marito che l'aspettava”.

Il Tribunale aveva, pertanto, condannato Tizio alla pena di 300,00 euro di ammenda, osservando come “la prova della [sua] responsabilità riposa[sse] sulle dichiarazioni della persona offesa, unica ma qualificata teste di accusa, e sulle precedenti segnalazioni” che erano state rivolte alle forze dell’ordine, perché “infastidiva i passanti”.

Tizio aveva proposto appello, poi convertito in ricorso per cassazione, in base a due motivi.

Quanto al primo, aveva rilevato come la decisione impugnata fosse “fondata sulle sole dichiarazioni della presunta parte lesa e adottata in difetto degli elementi costitutivi della contestata contravvenzione, in quanto [egli] era stato mosso esclusivamente dall'intento di promuovere ed incentivare la vendita del proprio prodotto”.

In base, poi, al secondo motivo, Tizio aveva avuto a che dolersi dell’“onerosità della pena inflitta” e del “mancato riconoscimento delle attenuanti generiche”.

LA DECISIONE. La Corte di Cassazione, sezione penale, n. 35718/2018, ha ritenuto che il ricorso fosse “sotto ogni aspetto inammissibile”.

Quanto al primo motivo, afferente al “rilievo sull'assenza di prova certa della responsabilità dell'imputato poiché centrata esclusivamente sulle dichiarazioni della presunta parte lesa”, la Cassazione l’ha ritenuto “generico”.

Nel farlo, ha colto l’occasione per affermare che “è indiscusso nella giurisprudenza di questa Corte che la deposizione della persona offesa dal reato può essere anche da sola assunta come fonte di prova, ove sia ritenuta oggettivamente e soggettivamente credibile, non richiedendo necessariamente neppure riscontri esterni, se non sussistano situazioni che inducano a dubitare della sua attendibilità, situazioni che, nel caso in disamina, non sono state ravvisate dal Tribunale e che il ricorso nemmeno astrattamente adombra.

In realtà la sentenza impugnata ha ampiamente ricostruito i fatti, descrivendo il comportamento insistente sopra ogni limite tenuto dall'imputato (si è evidenziato come il medesimo non si fosse limitato a reiterare la, già rifiutata, offerta di vendita del prodotto, ma avesse rincorso e tallonato la donna fono a quando la stessa non aveva raggiunto l'autovettura del marito). Del tutto correttamente, alla luce di tali emergenze, e plausibilmente ha dunque definito il suo agire "pressante, indiscreto e impertinente", ovverosia petulante. E proprio l'oggettivo comportamento dell'imputato rende d'altronde priva di pregio la tesi difensiva che egli non s'avvedesse dell'oggettivo disturbo arrecato e della inutile petulanza del suo agire. Potendosi solo aggiungere che nella fattispecie incriminatrice in esame la petulanza costituisce una modalità della condotta prima ancora che un atteggiamento soggettivo, sicché è principio consolidato che, ove la condotta sia obiettivamente petulante (fastidiosamente insistente e invadente), è sufficiente ad integrare il reato la circostanza che l'agente sia consapevole di tale suo modo di fare, non rilevando la pulsione che lo muove”.

Quanto, poi, al secondo motivo, “relativo all'asserito ingiustificato diniego delle circostanze attenuanti generiche”, la Cassazione l’ha parimenti ritenuto “manifestamente infondato”.

Ciò in quanto, “attraverso la corretta evocazione del parametro di cui all'art. 133 c.p., comma 2, n. 2, applicabile anche ai fini dell'art. 62 bis c.p.”, il diniego delle circostanze attenuanti generiche era “più che correttamente giustificato con il richiamo agli ostativi precedenti penali dell'imputato”.

Per tali motivi, il Giudice di legittimità ha, pertanto, dichiarato inammissibile il ricorso, nonché condannato il venditore “petulante” al pagamento delle spese processuali, oltre che della somma di euro duemila in favore della cassa delle ammende.

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